sabato 30 marzo 2013

Basta casta: forse stiamo esagerando


"Persino Maurizio Crozza – che è un grande professionista, ma rimane pur sempre un comico – alla fine ha riconosciuto che «forse stiamo esagerando». Sentire i presidenti delle Camere che all’unisono, appena eletti, annunciano in diretta televisiva di essersi ridotti lo stipendio (ma perché solo del 30%? perché non rinunciarvi del tutto?), leggere di un parlamentare grillino messo sotto accusa dai suoi colleghi per aver mangiato al ristorante di Montecitorio invece che alla mensa, tutto ciò dà il segno – ha sostenuto Crozza – di «una escalation assurda».
Se continua così, ha concluso fra le risate del pubblico, fra qualche tempo qualcuno si inventerà in televisione un’inchiesta-denuncia su un onorevole sorpreso a mangiare una brioche con crema all’autogrill di Roma Sud. Uno scandalo, ovviamente, visto che i parlamentari degli altri Paesi europei le brioche le mangiano vuote. E chi la paga la crema se non i poveri contribuenti italiani?
La verità, messa in luce da uno spettacolo satirico ma che si ha evidentemente paura di sollevare a livello di dibattito pubblico, è che la campagna mediatica contro la casta e gli sprechi della politica è sfuggita di mano a coloro che, nel corso dell’ultimo decennio, l’hanno meritoriamente promossa. Ma il loro obiettivo, apprezzabile dal punto di vista dell’impegno civile, era la riforma del sistema dei partiti, non la sua paralisi o peggio la sua distruzione.
Una riforma peraltro sostenuta da argomenti che ormai oscillano sempre più tra la demagogia e l’invettiva vera e propria. Nata per denunciare i costi oggettivamente esorbitanti delle assemblee rappresentative (centrali e periferiche) e in genere della macchina burocratico-istituzionale italiana, per mettere a nudo la corruzione dei singoli e i molti privilegi, diretti e indiretti, connessi allo svolgimento di ruoli e incarichi politici, tale campagna ha tuttavia finito per gettare una sorta di discredito generalizzato, un’ombra di sospetto permanente, su chiunque occupi uno scranno o svolga una funzione di governo, avallando implicitamente l’idea che la politica sia in sé un affare sporco.
Il trionfale ingresso di Grillo e dei suoi seguaci nelle aule parlamentari è in gran parte da attribuire proprio a questo sentimento collettivo, che da anni è largamente ostile alla politica e ai suoi attori tradizionali. Sentimento che Grillo – un Savonarola nell’epoca dei social network – ha capitalizzato, accomunando destra e sinistra in una condanna senza appello.
La sua vittoria ha spinto tutte le altre forze politiche, frastornate e impaurite, ad assecondarlo a costo di sfondare il limite del grottesco. Tutto, ivi comprese le trattative politiche più riservate e delicate, deve essere reso trasparente e accessibile. Ogni atto o parola deve essere ripreso in video e sottoposto al giudizio del pubblico. Ogni spesa, ivi comprese caramelle e penne a sfera, deve essere documentata scontrino alla mano.
"Non c’è competenza o carriera professionale, non c’è funzione o incarico, per quanto delicato e prestigioso, che possa giustificare uno stipendio o una pensione che offenda l’amor proprio (o stimoli l’invidia sociale) di un pensionato, una casalinga o uno studente fuori corso. Tutti – purché cittadini – possono occuparsi di tutto e svolgere qualunque mansione, in omaggio all’idea che le istituzioni funzionano in virtù della volontà e dei desideri di chi momentaneamente se ne appropria, non delle conoscenze tecniche di chi opera stabilmente al loro interno.
Ma non basta. Ogni esperienza politica pregressa, aver già ricoperto un incarico pubblico o un mandato politico, è da considerarsi con sospetto, in una versione aggiornata e un tantino ridicola del delirio rivoluzionario che nella Cambogia degli anni Ottanta spingeva i seguaci di Pol Pot a deportare nelle campagne o eliminare chi indossava un paio di occhiali o possedeva un titolo di studio, e a consegnare il potere ai fanciulli.
E guai naturalmente a farsi vedere in un ristorante del centro, meglio recarsi a piedi in Parlamento, tutti a chiedere di tagliare: stipendi, province, rimborsi, numero dei deputati e dei senatori, auto blu, scorte, appannaggi, pensioni, in una gara nella quale il qualunquismo travestito da morigeratezza sembra superato solo da un’ipocrita insipienza.
Per chi si ricorda di Ionesco e del teatro dell’assurdo, sulla scena politica di queste settimane sembra essersi realizzata la trasformazione di milioni di italiani – ivi compresi opinionisti eccellenti e politici di lungo corso – in rinoceronti impazziti che caricano senza risparmiare nulla, mossi dallo spirito di rivalsa e dal desiderio di fare tabula rasa.
La “rinocerontite”, come la chiamava il drammaturgo romeno, sembra aver colpito la maggioranza e si va diffondendo come un virus. E l’unico che abbia sin qui avuto l’ardire (e il buon senso) di opporsi a questo delirio febbrile sembra essere stato Crozza, un uomo di spettacolo ma per sua fortuna ancora politicamente pensante."  Alessandro Campi, Il Messaggero

giovedì 7 marzo 2013

una mattina qualunque in tribunale

Una mattina, come tante, di udienza penale in tribunale.
Oggi verranno trattati una trentina di processi e l'aula è gremita di cittadini (imputati, testimoni e parenti) e di avvocati.
Prima che inizi l'udienza arriva un imputato detenuto; accompagnato, manette ai polsi, da una scorta composta da quattro guardie carcerarie, viene rinchiuso nella gabbia presente in aula.
Alle nove, puntuale, si presenta in aula il giudice, accompagnato dal cancelliere. 
Tutti sono presenti, ma l'udienza non inizia.
Apprendiamo che si attende l'arrivo del pubblico ministero togato e ciò malgrado ci sia già in aula il pubblico ministero d'udienza (che, nel caso di specie, è un vice-procuratore onorario - ovvero uno tra le migliaia di avvocati che, quotidianamente in Italia, per sopperire alla cronica carenza di organico della magistratura, svolge le funzioni di pubblico ministero in udienza, gestendo la quasi totalità dei processi penali).
Se si attende l'arrivo in aula del Pubblico Ministero togato è perchè il processo da trattare sarà particolarmente delicato, mormorano tra loro gli avvocati, sicuramente riguarderà quell'imputato rinchiuso in cella. Chissà di quale delitto è accusato.
E finalmente, con un ritardo di oltre un quarto d'ora, si apre la porta e, con voluta solennità, sguardo severo e compreso, senza sorrisi nè saluti a nessuno, fa il suo ingresso in aula l'atteso pubblico ministero togato. Ovviamente non è solo; è accompagnato dal segretario personale che regge fascicolo, toga e facciola (il bavaglino bianco che si indossa insieme alla toga). 
A questo punto, in quest'aula, (senza contare gli avvocati e i semplici cittadini che, per essere presenti, hanno chiesto ferie o permessi dal lavoro) si ha la contemporanea presenza di ben 10 pubblici dipendenti, funzionari pagati dallo Stato per svolgere pubbliche funzioni: un Giudice, due pubblici ministeri, un cancelliere, un ufficiale giudiziario, un segretario del pubblico ministero e quattro guardie penitenziarie. 
Il giudice può dare inizio all'udienza. 
Con somma sorpresa, imputato del processo per il quale si è tanto atteso il pubblico ministero togato non è il detenuto - il quale se ne sta, infatti, seduto quieto nella sua gabbia guardandosi in giro incuriosito, circondato dalle guardie - ma riguarda invece una giovane e minuta signora che, chiamata dall'ufficiale giudiziario, va a sedersi al banco degli imputati accanto al suo avvocato.
Di quale crimine efferato sarà accusata questa signora, si chiede il pubblico, sempre più curioso.
E ben presto si scopre che il reato di cui è accusata la giovane donna è quello di essersi recata, un pomeriggio di sei anni prima, presso la scuola materna frequentata dai figli per riportarli a casa al termine delle lezioni e, alla presenza delle maestre, rivolgendosi a un piccolo compagno di classe della figlia che il giorno prima l'aveva morsicata al braccio di averlo minacciato dicendogli: "se morsichi ancora la mia bimba, ti strapperò tutti i dentini".
Il pubblico ministero togato, dopo aver svolto indagini durate parecchi mesi, dopo avere sentito i testimoni presenti ai fatti, delegando per tale incombente i Carabinieri, ha occupato l'udienza interrogando per oltre mezz'ora la giovane mamma, cercando con ogni mezzo di farla cadere in contraddizione.
Ora, questa lunga storia per dire: NON E' PIU' TOLLERABILE TUTTO QUESTO
La giustizia, soprattutto quella penale, dovrebbe essere una cosa seria. I soldi pubblici dovrebbero essere gestiti con rispetto e parsimonia. Non è tollerabile che si occupino magistrati, funzionari e dipendenti pubblici per celebrare processi farsa, per giudicare comportamenti, forse poco civili e poco corretti, ma che sicuramente nulla hanno a che vedere con la criminalità e con condotte penalmente rilevanti. I magistrati debbono svolgere funzioni di pubblica utilità, lavorare al servizio dello Stato, nell'interesse dei cittadini, per far rispettare la legge. E non dovrebbero mai perdere il senso di ciò che fanno e nell'interesse del quale operano e per il quale sono pagati.
E' una piccola storia. 
Accadono sicuramente cose più gravi e disdicevoli, ma, credetemi, non ne posso veramente più di vedere questa pessima gestione della giustizia.

giovedì 28 febbraio 2013

Il giorno dopo

Mi ci sono voluti alcuni giorni di silenzio per metabolizzare il pessimo risultato elettorale.
La prima reazione doverosa è quella di ringraziare tutti coloro (e non sono stati pochi) che hanno ritenuto di darmi fiducia, esprimendo la loro preferenza al momento del voto.
Questo per me è motivo di grande soddisfazione personale e mi fa pensare che, nonostante il risultato, ne sia valsa la pena.
Per il resto, il mio attuale sentimento, ancora "di pancia" più che frutto di elaborazione, è un misto di depressione e timore.
Depressione perchè vedere la Lega con Maroni governatore della Lombardia, dopo tutto quello che è successo, mi fa pensare che vi siano davvero poche speranze di rinascita, rinnovamento e pulizia.
Timore perchè il fenomeno M5S, qualche idea seria e condivisibile, eccessivamente permeata di arrogante qualunquismo sfascista e di acritica adorazione per il nuovo profeta, mi inquieta e mi rende terribilmente diffidente, come di fronte a ogni forma di religione e di dogmatismo.

Premesso che questi sono i miei sentimenti di oggi e che, a conti fatti, l'aver votato e militato con passione per un partito che ha ottenuto il 3,2% a livello nazionale e l'1,5% a livello locale, mi costringe a prendere atto del fatto che non capisco nulla di politica e che sto guardando il mondo da una riserva indiana, ciò detto, alcune sommesse considerazioni mi permetto di farle, sperando di venire presto smentita dalla realtà dei fatti.

Ieri in rete si dedicava grande interesse ed entusiasmo a una petizione che una grillina vorrebbe inviare a Grillo invitandolo a non arroccarsi e a collaborare col centrosinistra al fine di far approvare una serie di riforme che il nuovo Parlamento, prima di sciogliersi, dovrebbe varare. Si tratta precisamente (riporto testualmente)di:


«1. Una nuova legge elettorale; // 2. Una legge contro la precarietà e l’istituzione del reddito di cittadinanza; // 3. La riforma del Parlamento, l’eliminazione dei loro privilegi, l’ineleggibilità dei condannati; // 4. La cancellazione dei rimborsi elettorali; // 5. L’abolizione della legge Gasparri e una norma sul conflitto d’interessi; // 6. Una legge anticorruzione che colpisca anche il voto di scambio e l’istituzione di uno strumento di controllo sulla ricchezza dei rappresentanti del popolo (il “politometro”); 7. Il ripristino dei fondi tagliati alla Sanità e alla Scuola; // 8. L’istituzione del referendum propositivo senza quorum; // 9. L’accesso gratuito alla Rete; // 10. La non pignorabilità della prima casa».

A prima lettura le proposte parrebbero condivisibili.
Certo è che si tratta di proposte minime, per lo più, assolutamente generiche ma, soprattutto, possibile fonte di gravi equivoci.

Tanto per iniziare, cosa significa "nuova legge elettorale" senza indicare i criteri minimi della discussione (ritorno al proporzionale? doppio turno alla francese? maggioritario secco?). E' evidente che non ha alcun significato parlare di riforma se non si forniscono almeno le coordinate minime verso le quali si vorrebbe andare. 

“Reddito di cittadinanza”. Cosa significa? E' diverso, e in cosa, dal disegno di legge per il reddito minimo garantito sul quale S.E.L. sta raccogliendo le firme già da parecchi mesi? Sarebbe economicamente sostenibile e sulla base di quali risorse?

“Ineleggibilità dei condannati”. Si dovrà ben specificare, seppure sinteticamente, se l'ineleggibilità dovrebbe valere per tutti i reati o solo per i delitti dolosi; se ci vorrà una sentenza definitiva o sarà invece sufficiente una qualunque sentenza. 

L’altra questione rispetto alla quale la proposta dei grillini mi preoccupa e mi delude, dimostrandosi intollerabilmente superficiale e populista, è quella relativa alla non pignorabilità della prima casa. 
In uno Stato in cui anche gli stipendi e le pensioni sono pignorabili pro quota, il profeta genovese - per raccogliere consensi, sull'onda dei malumori nati da sospetti abusi di Equitalia - ha proposto, come un novello pifferaio magico, di rendere impignorabile la prima casa. 
E c'è chi lo segue e lo plaude senza capire cosa significherebbe realmente una proposta del genere.

E' evidente che se mai una tale scellerata proposta dovesse superare la boutade da campagna elettorale la conseguenza immediata sarebbe quella  che nessuna banca erogherebbe più un centesimo di mutuo senza una garanzia ipotecaria.
E se anche se così non fosse, se anche le banche dovessero comunque erogare i mutui, poichè i denari prestati per finanziare gli acquisti della prima casa non sono altro che i nostri soldi, quelli che noi depositiamo sui conti correnti, se questi soldi non dovessero essere poi restituiti, inevitabilmente il danno ricadrebbe su ogni singolo correntista.

Non va, infatti, dimenticato che la pignorabilità della casa non è un privilegio di cui gode solo Equitalia, ma uno strumento a favore di qualsiasi creditore; che ciascuno di noi potrebbe essere creditore di un soggetto per mille validi motivi e che non potendo pignorare la casa spesso non avrà alcun altro modo per soddisfare il proprio credito, che resterà così solo un  numero scritto su un pezzo di carta; che non sempre Equitalia agisce ingiustamente, ma spesso tenta anche di recuperare il credito da evasione fiscale di soggetti che truffano e danneggiano la collettività.
Ma tutte queste considerazioni pare che il profeta genovese non le abbia fatte.

sabato 23 febbraio 2013

Il silenzio elettorale

Grandi festeggiamenti in famiglia quando ieri sera ho spiegato ai miei figli l'esistenza dell'art. 9 della legge elettorale, quello che impone il "silenzio" di qualsiasi forma di propaganda dal giorno precedente le elezioni.
In pratica, hanno capito che sarebbe stata l'ultima sera, dopo un mese di precarietà familiare, in cui avrebbero cenato (tra l'altro male) senza la presenza di uno o dell'altro genitore (in qualche raro caso, senza la presenza di entrambi).
Anche se si sono illusi (e, lo ammetto, non me la sono sentita di togliere loro questa speranza) che da ieri sera in poi, finalmente, gli argomenti dominanti i nostri pranzi e cene in famiglia non sarebbero più stati la politica o la campagna elettorale.
Perchè, hai voglia dir loro che tutto questo lo stiamo facendo per loro e riguarda il loro futuro. In realtà, forse avrebbero preferito dei genitori con meno velleità di partecipazione e di cambiamento sociale. 
Ieri sera il grande assente è stato il padre. Impegnato nell'ultima tornata di affissione di manifesti sui muri della città. E' rientrato nella notte, infreddolito e amareggiato.
Infreddolito per le insolite temperature di questa campagna elettorale d'inverno, la prima con la neve nella storia della repubblica (speriamo che sia almeno di buon auspicio) e amareggiato per l'ennesima prova di inciviltà e di spregio per le regole rappresentato dall'uso degli spazi elettorali da parte della stragrande maggioranza dei candidati e dei loro partiti.
Se le regole democratiche prevedono che ciascuno abbia il proprio spazio, preciso, numerato, ben individuato, con quale forma di arroganza, di violenza, di profonda inciviltà ci si permette di occupare lo spazio degli altri?
La speranza è quella di svegliarsi, da mercoledì mattina, in un paese diverso, dove i cittadini giudicheranno chi votare anche in base a questi comportamenti, così che ogni manifesto affisso fuori dagli spazi consentiti comporti, per reazione, l'automatica perdita di consensi e di voti. Perchè del resto, non è anche questa una concreta dimostrazione di incapacità di gestire la cosa pubblica con onestà, trasparenza e rispetto delle regole nell'interesse della collettività? Se inizio la mia carriera politica usurpando gli spazi degli altri, cosa sarò disposto a fare una volta seduto nella stanza dei bottoni?

venerdì 22 febbraio 2013

La storia si ripete?


Primi anni venti del secolo scorso. “Caro direttore, sono uno studente non maritato e mi appresto a votare per la prima volta. Pur provenendo da idee socialiste penso che il partito dei lavoratori si stia ormai stancamente trascinando nell’immobilismo, e la recente scissione del nuovo partito comunista l’ha ulteriormente indebolito, creando un nuovo partito che per il suo estremismo bolscevico non potrà mai avere il mio voto. Ragione per cui, dopo la marcia su Roma, malgrado sia costernato dai metodi sbrigativi usati per contrastare chi dissente da loro, voterò per il Partito nazionale fascista, che vuole l’eliminazione della vecchia politica parassitaria, incontrando le necessità e i bisogni dei lavoratori con strutture di assistenza innovative ed efficaci”. 

giovedì 21 febbraio 2013


Un voto disgiunto per cambiare la Lombardia 
PAOLO HUTTER

SI è fatta confusione: non tutti hanno capito cos'è esattamente il voto disgiunto? Eppure, applicato il concetto al voto regionale per la Lombardia, potrebbe essere l'arma decisiva per evitare il ritorno del fronte leghista berlusconiano al Pirellone. Dare voti diversi per la Camera, il Senato e la Regione non è voto disgiunto, è articolazione del voto. Si chiama voto disgiunto, invece, una possibilità molto specifica, offerta dal sistema elettorale delle Regioni e dei Comuni, e solo da questi due, e cioè la possibilità di votare, sulla stessa scheda, per una lista al Consiglio regionale (eventualmente scrivendo il nome di un candidato, come preferenza) e per un candidato Presidente di uno schieramento diverso e concorrente rispetto a quella lista. In tal caso il voto al presidente può servire a farlo vincere, con la sua coalizione, invece il voto alla lista e al candidato consigliere serve a determinare il peso di quella lista nel Consiglio, e l'identità dei suoi eletti.Applichiamo lo schema al caso in questione. Se un elettore lombardo vuole votare il Movimento 5 Stelle, perché si sente rappresentato da quel tipo di battaglia, o condivide la protesta, sa però anche che realisticamente a vincere saranno comunque o Ambrosoli o Maroni. Può decidere col voto disgiunto chi sarà a governare, senza togliere neanche un centesimo di forza al M5S.C'È UN'ALTRA cosa che molti non sanno. Il candidato presidente viene automaticamente eletto in Consiglio regionale solo se vince o arriva secondo. Dal terzo posto compreso in poi, il candidato presidente non viene eletto. Infatti la candidata di 5 Stelle, Silvana Carcano, che lo sa bene, è anche candidata consigliera. Il voto alla Carcano o ad Albertini come presidenti, stando alle previsioni dei sondaggisti,è inutile perché non determina chi vincerà. E non determina neppure chi sederà in Consiglio a rappresentare il M5S.L'opportunità del voto disgiunto è sconosciuta ai più, e non viene propagandata dai partiti perché temono di perdere qualcosa. E invece hanno poco da perdere, quelli della coalizione Ambrosoli, e molto da guadagnare se almeno qualcuno tra gli elettori di 5 Stelle si ricorderà che Maroni e Formigoni sono l'opposto dei loro ideali. Per loro si tratterebbe solo di capire bene il meccanismo e, senza togliere un solo voto alla loro lista, potrebbero, votando Ambrosoli (o Maroni) scegliere anche a quale giunta fare opposizione. Certo questointerrogativo, questa sorta di secondo turno nello stesso voto sono un'operazione verità che comporta rischi per tutti: può esserci il 5 Stelle di destra che il voto disgiunto lo dà a Maroni, e ci saranno moltissimi che si rifiuteranno di scegliere. Ma, com'è accaduto per il ballottaggio di Pisapia, saranno più numerosi quelli che sceglieranno di favorire il cambiamento. Purché glielo si proponga.